LUDORIFLESSIONI

LUDORIFLESSIONI

A cura di Fabio Taroni – Pedagogista

Perché giocare

Coloro che hanno pratica di vita di gruppo tra i ragazzi, sanno quanta potenza espressiva è racchiusa nell’impegno del gioco. E quale straordinario spessore di comunicazione si instaura fra i giocatori.

Le ore trascorse insieme in un gioco lasciano un gusto allegro, qualcosa che si spera di poter riassaporare entro breve tempo.

Attraverso un gioco Michele o Gianni possono diventa­re coraggiosi, fantasiosi, eccezionali; le situazioni possono rapidamente capovolgersi o stravolgersi. Senza difficoltà ci si può trovare ora nella giungla, ora su Marte, ora in un campo di battaglia.

Il gioco è immedesimazione, identificazione… annulla i confini tra finzione e realtà; permette di cambiare, di assi­milare uno stile nuovo; è esperienza di vita e possibilità di dire agli altri qualcosa di se stessi.

Il gioco è la capacità di vivere l’imprevedibile, nel senso che da gioco nasce gioco, da una situazione ne nasce un altra e tante volte si sa come si comincia ma non come andrà a finire.

Il gioco è ……

q      spontaneo, cioè nasce e fiorisce senza “perché” coscienti, senza schemi preordinati, e senza che debba neces­sariamente servire a qualcosa;

q       gratuito, vale a dire non interessato. Ha per scopo la pura gioia del giocare prima che la soddisfazione di vince­re, e meno che mai la passione di guadagnare;

q      libero quanto la fantasia, ma trova in se stesso le proprie regole. Esse scaturiscono dalla volontà dei giocato­ri che spesso le inventano, le adattano, le modificano; dalla tradizione che le ha tramandate, o dalla presentazione di uno schema accettato dai giocatori;

q      vitale, indispensabile alla vita. Non è un episodio, da confinare in un angolo di spazio e in un termine di tempo ristretto: il gioco è il modo stesso di vivere e di imparare, di crescere nello spirito e nel fisico, di fare esperienza, di maturare.

Per riassumere con una frase: per l’adulto il gioco è un modo di fare, per il fanciullo, un modo di essere!

Si gioca quando ……

Si gioca quando c’è divertimento, sforzo e impegno verso il raggiungimento dello scopo del gioco, quando si fa esperienza di gratuità.

Si gioca quando si stabilisce tra i giocatori un canale di comunicazione che li mette in relazione permettendo il reciproco arricchimento e la possibilità di misurare con l’altro le proprie capacità, in uno sforzo teso al migliora­mento e al superamento di sé.

Si gioca quando viene a chiudersi il “cerchio magico”, cioè viene ad essere accettata e vissuta la norma che è l’elemento catalizzatore del gioco.

Si gioca quando i ragazzi raggiungono quegli obiettivi che sono propri dell’educazione ludica.

E se ogni gioco può essere utilizzato nelle esperienze ed attività più svariate con scopi didattici, ricreativi, di anima­zione resta comunque un fatto molto importante: che ogni gioco venga vissuto come tale attivando nei ragazzi quelle potenzialità che esso stesso è in grado di sviluppare.

Il gioco nelle varie età

Se in genere si può dire che il fanciullo vive il gioco con profonda intensità, è chiaro che la forza del suo impegno varia a seconda dell’età, del sesso, del carattere, del tipo di gioco e della sua durata, dell’ambiente, della possibilità di fantasticare o di concentrarsi…

Il gioco è sempre impegnativo e totale, ma – a seconda dell’età e delle circostanze – appaiono momenti più o meno lunghi di disincantamento.

Per il bambino il gioco è a volte un momento della sua realtà, a volte è la realtà stessa, “in toto”.

Quando poi arriva l’età della scoperta del gioco con gli altri, dei rapporti sociali, il confronto continuo del proprio comportamento con quello altrui e le prime delusioni e sconfitte, aiutano a disincantare il piccolo giocatore e a fargli prendere maggiore coscienza di sé e della realtà.

Durante tutto l’arco dell’età evolutiva, quindi, il gioco può avere diverse valenze.

Metto in evidenza un rapido schema, avvertendo che gli scatti di età indicati non sono estremamente rigidi: il passaggio avviene in modo assai sfumato e variato, a seconda degli individui. Si deve poi tener conto che ad ogni scatto di età non corrisponde l’abbandono totale delle esperienze pro­prie delle età precedenti.

5-6 anni

Il bambino imita le azioni dei grandi (ad esempio porta una cartella come il babbo, prende la scopa come la mam­ma). Segue gli altri anche se gioca più accanto a loro che con loro, compete (corse), assume ruoli (nascondino), capisce di dover giocare bene e senza liti.

6-7 anni

Il bambino imita macchine, animali (fa il cavallo, il treno, l’aeroplano…), quindi l’imitazione entra nel regno della fantasia, magari sotto l’influsso dei mezzi audiovisi­vi (gioca a fare il cow-boy, l’esploratore…).

7-9 anni

Il fanciullo collauda nel gioco le esperienze di vita sociale: ha bisogno di qualificarsi in seno al gruppo, difen­de i suoi diritti nei confronti degli altri, acquista il senso del rispetto verso gli altri, è solidale con il gruppo (è il gruppo che si rende autonomo dagli adulti prima che lo siano i suoi componenti: infatti il gruppo esprime giudizi e sentenze propri, che sono importantissimi per il fanciullo). Il piccolo giocatore conosce ed accetta le prime regole, il suo ruolo. Scopre anche che può imporre ad altri, più piccoli o più deboli, la sua autorità e i suoi giochi (gioco collettivo discendente), lancia sfide di abilità. Poiché il fanciullo contemporaneamente ammira i più grandi e forti, e cerca di qualificarsi presso di loro, prende quota gradualmente il gioco collettivo ascendente.

10-12 anni

È il tempo del gioco sociale. Diminuisce l’egocentrismo; il ragazzo non solo raggiunge una coscienza sempre più chiara di sé, delle sue doti e possibilità, ma si abitua a tener conto degli altri, assume un ruolo nella squadra, è capo o gregario a seconda delle attività e delle circostanze.

Nei grandi giochi collettivi, tattici e strategici, il ragaz­zo rispetta le leggi del gioco con piena coscienza e si qua­lifica fra i compagni per il valore fisico, intellettuale e mo­rale.

12-14 anni

Il ragazzo è capace di giochi di squadra con sacrificio proprio e scambi con gli altri, a vantaggio della squadra; ha spirito di gruppo; è sensibile al richiamo dell’avventura e dell’eroe, perciò s’impegna in giochi di esplorazione-avventura; è questo un modo di proiettarsi verso il mondo adulto che ora lo attrae. A questa età, mentre cala l’interesse per molti giochi, aumenta quello per lo sport, per gli hobbies che prefigura­no lavori ed attività di adulti. Le ragazze si indirizzano in genere verso giochi d’imi­tazione, d’immaginazione, di intelligenza, e di esercizio verbale in confronto ai giochi più movimentati e magari violenti, basati spesso sulla competizione muscolare, scelti dai ragazzi.

Gli obiettivi educativi generali del gioco

Senza alcuna pretesa di essere esaustivi, indico alcuni obiettivi rintracciabili e perseguibili nelle forme più diffuse dei giochi praticati nell’arco dell’infanzia, della fan­ciullezza, della preadolescenza.

Rinforzo del gusto dell’avventura, della novità, della curiosità.

È la risposta al bisogno dell’esplorazione, della conqui­sta di ciò che è sconosciuto, che è affascinante e temibile, per intenderne i legami con ciò che già si conosce, per rico­noscerne le qualità stupefacenti ed insolite che pongono nuove domande e richiedono ulteriori approfondimenti.

Rinforzo del senso dell’agonismo e dell’affermazione di sé.

È la risposta al bisogno di stima in se stessi. Si differenzia profondamente dalla competitività che è voglia di battere gli altri. Si tratta per un verso della capacità di indursi all’impe­gno per migliorare le proprie performances indipendente­mente dal confronto con quelle altrui; per un altro, di superare difficoltà che consentano di sentirsi più grandi, capaci, e quindi di accrescere la fiducia nelle proprie abilità.

Rinforzo delle capacità tecniche e autocritiche.

È la risposta al bisogno di sentirsi competenti e capaci di esprimere i propri giudizi rispetto ai momenti tecnici delle attività che si vanno realizzando. Le competenze tecniche acquistano nel gioco un carat­tere indiscutibile poiché sono strettamente collegate alle abilità che la regola del gioco richiede per il conseguimento delle mete. Si mobilitano così le capacità di confronto, e quindi di critica, nei riguardi delle performances proprie ed altrui.

Rinforzo del senso morale, della tolleranza e del diritto.

È la risposta al bisogno di sicurezza che trova nelle regole del gioco il suo punto di riferimento. La regola consente non solo il gioco, ma la partecipazio­ne ad esso perché tutela, con la sua trascendenza, i singoli che vi sono coinvolti. Non è raro, tuttavia, che si consentano norme differen­ziate o in funzione dell’impossibilità o incapacità di alcuni di seguire le regole canoniche, o per rendere il gioco più arricchente e stimolante. Tale possibilità di tolleranza deve però arrendersi di fronte a quelle manipolazioni che annul­lano o sviliscono il gioco stesso.

Rinforzo dello spirito di sacrificio e di squadra.

È la risposta al bisogno di socializzazione. Si consegue quando il gioco ha regole complesse e ruoli differenziati tali da mettere nelle condizioni di incorrere nell’opportu­nità di una rinuncia personale per migliorare la perfor­mance della propria squadra.

Rinforzo del gusto dell’impegno, della concentrazione, dello sforzo.

È la risposta al bisogno di crescita. Sul piano psicologico si collega alla capacità di rinviare la gratificazione immediata in vista di un fine più lontano nel tempo e più significativo nel valore.

Rinforzo dell’intraprendenza, della capacità d’iniziativa ed assunzione di rischio.

È la risposta al bisogno di responsabilizzazione. Si collega alla capacità di valutare le situazioni nei loro aspetti tattici e strategici.

Il gioco come campo di osservazione

Il gioco è il modo naturale con cui il ragazzo esercita le sue facoltà e le arricchisce dando, con l’esperienza, nuovi contenuti all’intelligenza e nuove abilità alle sue capacità pratiche.

La spontaneità e la ricchezza di questo momento (che in realtà investe tutte le facoltà del soggetto), è occasione di osservazione e conoscenza. Infatti, nell’esperienza vitale e intensa del gioco il ragazzo manifesta il suo temperamen­to, i suoi dati caratteriologici e rivela le sue principali attitudini. Dato che gioca in clima di libertà e di gioia, si presenta quale realmente è, con doti e difetti, senza più o meno accentuate mascherature cui si sottopone in presen­za degli adulti, a scuola o in famiglia: è nel momento della sincerità e della spontaneità, almeno riguardo a se stesso.

L’animatore, l’educatore, il maestro, il genitore, ha dunque la possibilità (senza perdere di vista lo svolgimento generale del gioco) di osservare il comportamento dei singoli giocatori di fronte alle difficol­tà, all’impegno morale, alla legge o regola del gioco ed al valore della collaborazione.

Elementi di valutazione saranno:

Lo stato di salute e di efficienza fisica.

S. Giovanni Bosco raccomandava: «Quando vedete un ragazzo che si apparta dal gioco, the rifiuta di giocare, preoccupatevi di lui: c’è qualcosa che non va, nel fisico o nel morale». L’educatore non deve sottovalutare il fatto che alcuni ragazzi e ragazze siano di frequente in stato di stanchezza fisica, di svogliatezza, e mostrino fatica nell’im­pegno del gioco.

Il temperamento.

Gli irascibIli, i flemmatici e gli altri tipi caratteriologici sono facilmente individuabili nel vivo d’un gioco. L’opera educativa, partendo dalla realtà psicologica, consisterà appunto nell’aiutare ogni ragazzo a dominare i lati negati­vi del proprio temperamento e a valorizzare quelli positivi.

Il grado di esercizio di alcune virtù fondamentali.

Si tratta proprio di quelle stesse virtù umane sulle quali si innesta una vera formazione cristiana: lealtà, costanza, altruismo, sacrificio, generosità, forza d’animo…

Accanto a ragazzi attivi se ne troveranno altri più pigri o più fragili nel morale, che avranno la tendenza a tirarsi da parte non appena il gioco richiede più sforzo o in seguito ai primi insuccessi; altri si comporteranno da egoisti (ad es. cercando esclusivamente il successo personale, senza cu­rarsi degli altri e della squadra, o da vanitosi (gloriandosi d’un successo in modo eccessivo)…

Sarà compito dell’educatore aiutarli a superare con forza d’animo queste e altre difficoltà.

La capacità del ragazzo di inserirsi nella società dei suoi coetanei.

La possibilità, cioè, di collaborare con gli altri, di accet­tare le regole, di assumere un ruolo.

Nel gioco il ragazzo si pone i primi problemi morali, scopre l’esistenza di una legge, tenta di stabilire un rappor­to fra sé e gli altri; ha la prima idea di una società organiz­zata e dà all’incontro con gli altri alcune caratteristiche, che rimarranno spesso uguali per tutta la vita.

È importante dunque osservare i giocatori e guidarli nei loro atteggiamenti sociali. Vi sono giochi particolarmente adatti a rivelare taluni aspetti della personalità infantile: alcuni, ad esempio, sono basati fondamentalmente sulla lealtà dei partecipanti, altri sul loro spirito di cooperazione, altri sul sacrificio. L’ani­matore potrà utilizzarli sia come mezzo di scoperta, sia come mezzo di educazione.

Tre aspetti da evidenziare

  1. Il gioco è occasione di sfogo per le energie fisiche e psichiche che oggi sono particolarmente compresse dai ritmi della vita e dalle caratteristiche dell’ambiente cittadi­no e industriale.
  2. Il gioco rappresenta un tempo e un ambiente di compensazione per quei ragazzi che, non riuscendo a pri­meggiare in altri campi per fattori contingenti o permanen­ti (ad es. nelle materie scolastiche, o in famiglia fra fratelli e sorelle maggiori), nutrirebbero complessi di inferiorità e atteggiamenti negativi, male affrontando la vita sociale.
  3. Il gioco ha funzioni stimolanti ed equilibratrici per tutte le facoltà della persona. La vita moderna infatti tende ad impegnare l’uomo soltanto in alcune sue facoltà: la carenza di spazi favorisce le attività di contemplazione passiva (TV, cine, spettacolo sportivo…) e non quelle di movimento, impegna in prevalenza alcuni sensi (vista e udito) e questi neppure in tutte le loro possibilità… Il gioco impegna il ragazzo e fa sì che egli, spontanea­mente, tenda ad ottenere il meglio da se stesso e coordini in modo armonico le sue facoltà.

Il gioco spontaneo

Le caratteristiche peculiari del gioco infantile vanno rispettate. Anzitutto occorre rispettarne la spontaneità. Il gioco che nasce spontaneamente, che segue l’ispira­zione del momento, il gusto dei ragazzi, le leggi da loro prefissate, e su cui non pesa la volontà determinante dell’a­nimatore/genitore, ha un valore immenso come scuola di libertà, di equilibrio, di fantasia. Le sue leggi vengono accolte da tutti per loro stessa elezione (a volte per scelta morale diretta, a volte perché… sarebbe disonorevole non osservarle). Il gioco spontaneo è dunque un’esperienza educativa­mente preziosa, anche se non programmata… anzi proprio per questo. Per esempio: se si conducono i ragazzi in gita in un bosco, sulla spiaggia, su un prato, e si pretende di voler occupare ogni momento libero con un gioco organizzato, o dirigere ogni gioco con regole imposte dall’alto, si rischia di privare i ragazzi di esperienze preziose quali l’esplora­zione dell’ambiente, l’incontro con la natura…

Allo stesso modo sbaglierebbe l’animatore che, pieno di zelo e di buone intenzioni, fosse preoccupato di trarre da ogni gioco ed attività un insegnamento esplicito, una con­siderazione morale-educativa. Il suo influsso si limiterà a delicati interventi, mirando a che il gioco spontaneo acqui­sti un certo stile.

L’educazione è insieme di esperienze positive che pro­ducono uno stile di vita: esperienze che i ragazzi vivono anche nel gioco e che un animatore deve valorizzare, ma con molta discrezione per non guastarne la spontaneità.

Il gioco e il gruppo

La mia riflessione fin qui ha spesso considerato il giocatore singolo, si allarga ora al gruppo come realtà psicologica ed educativa. Il gruppo è un luogo significativo per la crescita dei ragazzi.

Ricordiamo i bisogni psicologici ai quali la vita di grup­po risponde: bisogno di affetto (voler bene e trovare chi ci vuol bene), bisogno di stima (essere stimati ma anche stimare gli altri, nutrir fiducia, poter contare su qualcuno), bisogno di affermazione (aiutare la persona ad esprimere se stessa), bisogno di sicurezza (nel rapporto con gli altri ci si verifica continuamente, ci si conosce, ci si corregge a vicenda).

Appare chiaro come questi bisogni fondamentali soggetto trovino nel gioco di gruppo una reale possibilità di sviluppo e di rafforzamento. Ad esempio, l’amicizia rivela e si rafforza nelle difficoltà ed anche nei contrasti gioco. Un gruppo di ragazzi ha la possibilità di far acquisire stima in se stessi, anche ai meno dotati: il gioco di squadra, in cui le forze si sommano e i più forti ed abili aiutano gli altri, può essere un mezzo opportuno per questo. Una meta fondamentale del gruppo è il favorire la realizzazione di ciascuno, ed ottenere al tempo stesso equilibrio di gruppo.

Il gioco fornisce, in sostanza, occasioni di dividere con altri ciò che si fa, di attenuare una delusione o una sconfitta, di superare difficoltà e frustrazioni in modo positivo: sono esperienze basilari per ogni essere umano e per ogni società, che non si realizzano mai da sole e in astratto ma devono essere sperimentate conflittualmente, rafforzando gli elementi positivi.

Il modo di concepire la piccola “società che gioca” va a seconda dell’età. Ad esempio al disotto dei 10-11 anni, i fanciulli giocano in gruppo e in squadra, ma per ciascuno di essi l’attività è più importante dei rapporti che si stabiliscono con gli altri; cioè il fanciullo è più attento al gioco che a coloro con cui gioca. Insomma, anche se ha amici e preferenze fra coetanei, accetta senza problemi di giocare con tutti, anche con il primo bambino che incontra; e anche se si formano dei gruppi spontanei questi si sciolgono e si riformano tranquillamente ad ogni gioco.

Per un preadolescente, le relazioni con gli altri hanno una prevalenza nei confronti dell’attività pura e semplice è la banda di amici, è il gruppo stabile che gioca veramente insieme; il ragazzo potrà anche tirare quattro calci al pallone con una compagnia occasionale, ma per un vero gioco- avventura ha bisogno dei “suoi” amici; per lui il “con chi gioca” è più importante del giocare.

Nel comportamento del gruppo che gioca, c’è il pericolo di ritrovare alcuni difetti della nostra società:

il consumismo:: si gioca solo se ci sono taluni giochi, taluni attrezzi, taluni giocattoli; non ci si sa più arrangiare, la fantasia non trasfigura più gli oggetti, sparisce il gusto del fare da sé…

la competitività: abituati alle competizioni sportive viste in TV e alle telecronache gonfie spesso di retorica, i ragazzi rischiano di perdere il gusto di giocare per la pura gioia di giocare, e di finalizzare tutto a una vittoria, a un premio. Non vanno sottovalutate sfida, competizione, voglia di gareggiare, ma l’atmosfera non deve essere troppo tesa; cortesia e lealtà devono permanere, i perdenti non devono essere frustrati e devono trovare rapidamente un riscatto successivo (magari in un gioco diverso). Tutto deve svolgersi in clima di gioia.

la standardizzazione dei giochi, dei passatempi, del tempo libero: in una società indirizzata verso passatempi di massa e di moda, in ambienti così poco stimolanti e liberanti quali quelli urbani, i ragazzi rivelano scarsa inventività, sogge­zione ai falsi modelli del divismo e dello sport-spettacolo, passività incoraggiata dalla TV.

Un’opera educativa importantissima è riuscire a libera­re, attraverso i giochi più vari, la fantasia e l’inventiva.

LUDORIFLESSIONIultima modifica: 2009-02-14T19:43:00+01:00da ludotaro1969
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