METTERSINGIOCO

EDUCARE AL GIOCO METTENDOSI IN GIOCO

Fabio Taroni Pedagogista

GIOCARE: UNA SCELTA!

È importante, quando si parla di gioco, evidenziare immediatamente il significato che se ne vuol dare; molte parole, infatti, possono presentarsi polisemiche, cioè ricche di una molteplicità di significati, a volte diversi e, spesso, anche in contrasto fra di loro. E la parola gioco è una di queste.

Giochiamo con poco, ma anche con giocattoli costosissimi; giochiamo a prendere qualcuno e ci prendiamo gioco di qualcuno; apriamo una borsa piena di giochi e giochiamo in borsa; c’è un gioco da casa e una casa da gioco; esiste un gioco di ruolo e un ruolo da giocare; puoi giocare due volte allo stesso gioco, ma puoi fare anche il doppio gioco; possiamo vivere o morire per gioco. Ecco allora che per scrivere del gioco e del giocare bisogna utilizzare necessariamente una cornice di senso nel quale collocare e fare proprie altre parole che evidenzino delle scelte ben precise: nel mio caso sono quelle dell’educazione.

Di fronte ad una società che continuamente distorce l’uso e il significato del gioco, utilizzandolo prevalentemente per addormentare le coscienze, occorre amplificare il valore sano del gioco che stimola, fa crescere, che aiuta ad esprimere il proprio essere unico e originale. Davanti a una forma di gioco che mira sempre più a massificare e standardizzare i messaggi, occorre contrapporgli l’idea di un gioco che è relazione, scambio, dialogo, incontro.  In un tempo, caratterizzato più che mai da un gioco e un giocare intitolato esclusivamente al suo valore economico, è necessario riscoprire un gioco disinteressato, semplice, gratuito e genuino.

In poche parole, occorre scegliere! Scegliere di mettersi dalla parte di quel gioco e giocare attraverso cui ogni persona impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore della vita, a incontrare e a stare con gli altri, a controllare le proprie emozioni, a gestire le situazioni di conflitto, a scoprire nuovi percorsi di autonomia, a saggiare il senso della possibilità e della novità.  Scegliere, attraverso la riscoperta della propria dimensione ludica, di essere persone, originali, creative, uniche, capaci ancora di gioire alla vita; capaci di dare un po’ di colore e di musica al grigiore della nostra società, improntata prevalentemente su criteri di ordine, efficienza e appiattimento di ogni comportamento umano; capaci di mettersi in gioco, che sanno ridere e sorridere, che sanno scommettere sulle proprie potenzialità e su quelle degli altri, che accettano la dimensione paradossale ed ironica della vita e che ad essa guardano con entusiasmo e apertura, che sanno essere uomini nel senso pieno della parola.

METTIAMOCI IN GIOCO

Ogni gioco necessità sempre di un gioca-re e di un giocato-re. Chi si mette in gioco, si mette anche in moto. Anche colui che in apparenza sembra non fare nessun tipo di movimento fisico, in realtà, nel gioco, sta muovendo la mente in più direzioni.

Nel giocare un bambino esplora, conosce, impara, osserva, inventa, immagina, costruisce, ….; mentre gioca, sicuramente manifesta meglio il suo mondo interiore, che non saprebbe né potrebbe diversamente esprimere verbalmente; nello stesso tempo, egli mette in evidenza, attraverso l’attività ludica, la sua esigenza di comunicare e di socializzare con gli adulti. Nell’infanzia, ma anche nell’età adulta, il gioco è, nelle sue varie forme, un’attività vitale. Chi da piccolo non ha giocato o ha giocato male, corre il rischio di isolarsi da quelli che sono i giochi del vivere.

Se voglio giocare, devo buttarmi dentro il gioco. Devo giocar-mi senza paura, senza riserve. Questo presuppone quell’atteggiamento di “lanciarsi dentro al gioco”, senza temere il giudizio degli altri. Solo allora il gioco è disinteressato e aiuta ad esprimere al meglio le proprie capacità. Se non temo di giocare allora sono me stesso nel gioco.

Usando le parole di Froebel, nel gioco si manifesta lo slancio vitale della personalità, l’intero mondo interiore del bambino con i suoi bisogni, le sue tendenze, le sue idee e sentimenti. È mediante il possesso del gioco vivo e vissuto che il bambino si muove e si compie. Questo, più o meno consapevolmente, i bambini già lo sanno fare; più difficile è per gli adulti. In questo caso, allora, tornare un po’ bambini o, perlomeno, riscoprire il bambino che siamo stati, diventa una delle vie maestre da percorrere se vogliamo giocare da protagonisti e al meglio il meraviglioso gioco della vita, che è la vita stessa.

Giocare è un linguaggio naturale e immediato di accostarsi alla realtà, alla quotidianità. Il gioco dei bambini è sicuramente la prima manifestazione della dimensione ludica. Ogni bambino gioca naturalmente, perché prova una sensazione di benessere.

Attraverso il gioco, infatti, il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose: che cosa si può o non si può fare con determinati oggetti, si rende conto dell’esistenza di leggi del caso e della probabilità e di regole di comportamento che vanno rispettate.

L’esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere fiducia nelle proprie capacità; diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste sue due realtà. Il bambino nel giocare impara ad essere creativo, sperimenta le sue capacità cognitive, scopre se stesso, entra in relazione con i suoi coetanei e sviluppa quindi l’intera personalità.

Il gioco rappresenta, per l’uomo e per il bambino, una dimensione fondamentale che li pone all’interno di una pluralità di esperienze. Il bambino, l’uomo gioca ed il suo gioco risponde ad un bisogno profondo del suo essere. Attraverso il gioco si scopre il mondo, si entra in relazione col proprio ambiente, con gli oggetti, con le persone che lo popolano.

Il gioco, quindi, ha una funzione di autoconoscenza, ma anche di legame con gli altri e di connessione, infine, con il mondo della natura. Niente come il gioco, dal punto di vista dell’attività umana, ci restituisce il senso di un appartenenza globale ad un insieme più vasto. In questo senso è essenziale interpretare il gioco come una forma specifica di comunicazione.

Giocare, infatti, significa incontrare l’altro e, l’incontro con l’altro, diventa relazione, rapporto, conoscenza reciproca, e, soprattutto, possibilità di riconoscersi tutti simili e, allo stesso tempo, anche tutti diversi: simili in quanto espressioni dell’unica matrice ontologica e diversi in quanto capaci di risposte originali, creative, libere e plurali, frutto di scelte culturali, sociali e religiose.

Allora, sì al gioco! Contrapposta a chi ha scelto di dire di no al gioco accantonandolo nel dimenticatoio perché ormai come adulti, si deve fare i seri, o giocando in maniera patologica arrivando a forme ludiche come il gioco d’azzardo o lo sport estremo. Davanti al gioco, non ci si tira indietro. È nostro diritto e soprattutto un diritto dei bambini, il dire sì al gioco. Il gioco necessita di un nostro coinvolgimento personale. Il gioco indica sempre la profonda unità dell’esperienza: sono sempre presenti movimento (del corpo e della mente), razionalità, emotività, vissuti, progressiva consapevolezza.

Il rischio, di non prendere l’attività ludica in questi termini, è quello di giocare e far giocare per occupare del tempo. Ma “pascolare” non vuol dire educare! Il gioco richiama l’educatore (genitore, animatore, insegnante, o catechista che sia) a mettersi in gioco in prima persona.

METTERSINGIOCOultima modifica: 2009-02-14T17:55:00+01:00da ludotaro1969
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