LUDO ERGO SUM

Ciao a tutti! Qui di seguito troverete le relazioni di alcuni contributi emersi durante il convegno del 30 maggio presso il cinema Italia a Faenza (Ra) dal titolo: LUDO ERGO SUM – IL GIOCO NELLA FORMAZIONE UMANA

Primo intervento a cura di Sigrid Loos

Pedagogista e Giocologa (Rapallo – GE) 

LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI AL GIOCO

Tutti i giocatori sono uguali o possono essere resi uguali.

La novità è più divertente della ripetizione

Le regole sono di volta in volta negoziabili.

Il rischio in merito al gioco vale la pena.

Il gioco migliore è bello ed elegante.

Lo scopo del gioco è nient’altro che giocare

 

Joseph W. Meeker [1]

 

 

Il gioco è un attività naturale per tutti i mammiferi e gli animali a sangue caldo: Pare che i pesci e i rettili, essendo legati ad un sistema di reazioni basati sulla sopravvivenza e l’istintività, non giochino. Possiamo allora dedurre che  il gioco richiede uno sviluppo cerebrale superiore, un cervello ben integrato capace anche di sognare. Il sogno sembra nascere nel sistema limbico, sede delle emozioni e delle immaginazioni. Inoltre il sangue caldo sembra predisporre al gioco. Grassi e peli proteggono il corpo dall’escursione termica e trattengono così le energie necessarie per giocare. Come i cuccioli dei mammiferi che giocano per appropriarsi le competenze motorie e sociali necessarie alla sopravivenza, anche il cucciolo d’uomo gioca se cresce in un ambiente protetto, in assenza di fame, pericolo, e altre deprivazioni.

Le creature giocose hanno più massa neurale nei loro cervelli complessi. Questi sistemi neurali  si trovano nei lobi parietali  della corteccia  e sono direttamente legati alla percezione corporea, al movimento e all’elaborazione di informazione nel tronco cerebrale, nel talamo e nella corteccia.

L’impulso a giocare nasce nel cervello e non deve essere imparato [2]. Ci sono una serie di sostanze chimiche prodotti dal corpo che nutrono l’impulso di giocare ed altri che lo inibiscono. Il cervello produce dopamina quando giochiamo. Questa sostanza crea lo sviluppo di  reti nervini in tutto il cervello:  Recenti ricerche hanno rilevato che in pazienti del morbo di Parkinson e in bambini afflitti dalla sindrome di deficit di attenzione, il livello di dopanina è molto basso. Perciò il gioco è così importante per prevenire iperattività e difficoltà nell’apprendimento.

Tra i cuccioli dei mammiferi, l’uomo gioca più al lungo. Il suo sistema nervoso malleabile è in costante sviluppo per tutta la vita. Giocando egli  è più disponibile a rischiare, rimane più flessibile, impulsivo e creativo, pronto a seguire nuove idee fino alla sua morte.

Quando giochiamo mettiamo in atto tutto l’apparato sensoriale. Più di 80% del nostro sistema nervoso è occupato a integrare gli input sensoriali provenienti dal nostro corpo e dall’ambiente circostante. In questo senso il nostro cervello funziona come una macchina ad elaborazione sensoriale e il gioco è la chiave d’accesso a questa “macchina”. I nostri ricettori tattili e il cervello richiedono la diversità per poter integrare le sensazioni come un abbraccio forte, la carezza del vento nei capelli, il solletico alle gambe dell’erba alta, ecc. I nostri sensi hanno bisogno di stimoli diversi e se vogliamo mantenere il nostro cervello attivo, dovremo uscire dalla routine e fare ogni giorno qualcosa di diverso come mangiare con la sinistra, fare la doccia ad occhi chiusi o scendere la scala all’incontrario come sostiene il neurobiologo Lawrence C. Katz [3]. Le sfide al livello sensoriale ci aiutano a rimanere svegli e ad attivare il nostro sistema vestibolare. Persone che vivono con intensità sensoriale si riconoscono dall’entusiasmo, dalla curiosità e giocosità con cui affrontano la vita in uno spirito innocente da bambino.

Possiamo affermare che il gioco è sinonimo di apprendimento Già il bambino piccolo nelle prime settimane di vita comincia a giocare con il proprio corpo, o meglio: parti del suo corpo diventano il suo giocatolo. Prima ancora che si accorge che esistono altre cose intorno a se oltre al seno della mamma.. Il bambino comincia a giocare con i piedi, con le mani e si rende conto che ha delle estremità che può in qualche modo comandare e manipolare., ci gioca ed esplora. Man mano che cresce pone l’attenzione al di fuori del suo immediato raggio di percezione, viene attirato da stimoli visivi e sonori e comincia attraverso  una serie di giochi-sperimenti ad esplorare  il principio di causa-effetto agendo sugli  oggetti  dell’ambiente circostante. In questa fase è importante di offrire al bambino stimoli ben dosati al livello percettivo che lo inducano ad esplorare ma non lo blocchino per  uno sovraccarico di stimoli di cui deve difendersi.

 

Purtroppo la frenesia della nostra vita moderna è piuttosto controproducente allo sviluppo sensoriale. Troppi stimoli visivi e uditivi (un vero bombardamento di immagini e rumori) fanno si che i nostri sensi si chiudono. La nostra paura dei pericoli e dello sporco ci induce inoltre spesso ad impedire ai bambini di sperimentare l’ambiente al livello sensoriale. Recente ricerche sottolineano che l’ambiente asettico e la mania per l’igiene indeboliscono il sistema immunitario e sono le cause per molte forme di allergie. Il sistema immunitario si organizza attraverso le esperienze, e le malattie si sviluppano più facilmente quando il sistema immunitaria non può confrontarsi con batteri e virus.

 

Il gioco ci aiuta a crescere ed ad appropriarci di tutte quelle competenze sociali necessarie per istaurare rapporti sani con gli altri. Nel gioco impariamo a rischiare, a difenderci, a negoziare a sperimentare e vivere in pieno fantasia e curiosità. Una ricerca americana alla Yale University ha mostrato che i bambini che giocano molto al gioco simbolico, mostrano più facoltà di leadership a scuola, si comportano in modo più cooperativo e  meno competitivi o intimidatori verso gli altri [4].

 

Giocare liberamente alla lotta, a  rotolarsi per terra, ad acchiapparsi, rincorrersi sono attività necessarie per sviluppare un senso di corporeità, equilibrio e la capacità di centrarsi. Inoltre crea la coscienza del dove siamo nello spazio in relazione con gli altri. Bambini,  ai quali viene negato giocare ad alto livello di contatto fisico spesso sono impacciati e hanno poca consapevolezza dello spazio intorno a se. Hanno difficoltà di essere presenti sia in relazione con gli altri sia in situazioni di apprendimento perché gli manca la percezione della propria corporeità.

Bambini abbandonati all’isolamento che non hanno potuto  toccare, muoversi e giocare,  sviluppano anormalità cerebrali associati alla violenza, l’allucinazione e la schizofrenia. Il loro cervello è da 20 a 50% più piccolo del normale. Ciò si attribuisce al fatto che l’isolamento inibisce lo sviluppo di grandi aree del cervello: il sistema sensoriale del tronco cerebrale che controlla il movimento e l’equilibrio, l’area responsabile per il tocco e l’area affettiva legata direttamente al tocco e al movimento [5].

Nel gioco possiamo sviluppare empatia, autostima, altruismo e compassione, competenze sociali che ci aiutano a relazionarci meglio con gli altri ed essere facilitati nell’apprendimento scolastico.

Nella sua crescita il bambino passa dalla fase esplorativa delle cose alla fase del “tu”, riconosce che ci sono altre entità con le quali si può interagire. E tenendo conto dell’egocentrismo inerente a questa età, quando il bambino X incontra il bambino Y è già un incontro predisposto al conflitto, perché probabilmente Y avrà qualcosa che X  vorrebbe avere o vice versa. È l’origine dei conflitti dice René Girard [6]: “…l’imitazione del desiderio dell’altro: nel momento in cui qualcuno fa un gesto per appropriarsi un oggetto, questo provoca in chi lo guarda lo stesso desiderio dell’oggetto.” A questo punto le vie sono due: o litigare per l’oggetto o trovare una mediazione per gestire questo interesse in comune (il giocatolo). René Girard lo chiama una ritualizzazione della violenza per evitare quella vera, quella distruttiva. All’inizio è più un giocare uno accanto all’altro che diventa poi un giocare insieme (o uno contro l’altro).Se l’altro viene riconosciuto non solo come rivale nella competizione per il giocatolo, ma come compagno con cui si può interagire, fare qualcosa insieme, comincia a crearsi la percezione dal “tu” al “noi”.

 

Nel passaggio al “noi” i giochi di gruppo diventano interessanti, quindi un “facciamo qualcosa tutti insieme, ci aiutiamo a vicenda”. Nella fase del “noi” il bambino impara a gestire i due modelli: “Noi e Loro” (cooperazione) e “o Noi o Loro” (competizione). Quando gli altri vengono percepiti come avversari, nemici ecc. entriamo nell’ottica della competizione dove chi vince   alla fine ha ragione perché è il più forte. E di conseguenza avremo tanti esclusi ed emarginati.   Il “ noi” inteso come l’insieme del gruppo nella sua diversità  non preclude che il bambino non possa scegliersi di volta in volta i sui compagni.  il giocare  rispettandosi pur imparando a negoziare, rende anche più difficile il  vedere l’altro come avversario. A livello di apprendimento il giocare in maniera cooperativa permette di sviluppare competenze sociali  come la solidarietà, l’aiuto reciproco,  il sostegno, l’empatia.  Insieme agli altri  possiamo raggiungere  obiettivi più complessi  di quelli che potremmo raggiungere da soli, soprattutto se siamo sotto pressione  . Il gioco diventa così anche campo di apprendimento sociale e non solo attività per l’integrazione  degli schemi corporei o di manipolazione di materiale. Aiuta cosi di sviluppare competenze sociali importanti per la  sopravivenza in una società che tende sempre più all’individualismo e all’isolamento.

 

Per quanto è stato detto prima, non è del tutto indifferente se un gioco viene giocato in modo cooperativo o competitivo, sia  che si tratta di creazioni, manipolazioni o giochi di movimento o giochi di gruppo. Quando giochiamo e diamo più importanza al processo anziché al risultato ci possiamo più facilmente mettere in gioco anche al livello socio-affettivo. Ma nel momento in cui cominciamo a paragonare  X con Y, che non sono paragonabili perché si tratta di due entità diverse, ognuno ha la sua individualità e le sue competenze sviluppate in modo diverso, entriamo in ottica competitiva. Quindi o X o Y vince, e di conseguenza l’altro deve reggere la sconfitta a livello emotivo. Se il gioco, come già detto, dovrebbe essere inteso come momento di esplorazione, sperimentazione, divertimento, ed Y ha solo una gamba, allora va da sé che sarà escluso o ostacolato in tanti giochi che si basano sul movimento e sul risultato finale. Di conseguenza Y ha poca scelta. O si ritira dal gioco perché nessuno vuole sempre stare dalla parte dei vinti, o sviluppa delle strategie di inganno per vincere anche lui almeno ogni tanto. Oppure diventa aggressivo.  Questo spiega perché al livello scolastico troviamo tanti bambini aggressivi ed inclini a litigare. Come educatori riconosciamo difficilmente che queste conflittualità ed aggressività sono già implicite nel tipo di giochi o nei modelli educativi che proponiamo. Quando cominciamo a paragonare due entità  che non sono paragonabili (diversi tipi di intelligenza per esempio) diciamo già che uno sarà il più bravo e l’altro evidentemente il più imbranato.. Da un lato è possibile che l’autostima del più bravo si rinforzi, ma il più debole sicuramente deve incassare le frustrazioni dovute alle  sconfitte e avrà meno possibilità di costruirsi una buona autostima.. Siccome il suo modello è il più forte o più bravo, ma non riesce a raggiungerlo, deve compensare con altri modelli  con comportamenti aggressivi e disadattati. Perciò è importante che al livello educativo ci poniamo la domanda: a che giochi giochiamo?

 

Le maestre che sperimentano i giochi che si basano sul mutuo rispetto, sulla cooperazione in modo continuativo nei loro programmi,verificano anche un cambiamento nel clima di gruppo che si riflette anche in altre attività. Il livello di conflittualità ed aggressività si abbassa e i bambini  mostrano comportamenti anche più cooperativi in altre situazioni della vita quotidiana. Terry Orlick [7], docente di Psicologia dello Sport all’Università di Ottawa, negli anni ottanta ha svolto una ricerca di durata di 18 settimane sull’influenza dei giochi cooperativi e il comportamento nelle scuole materne di Ottawa. Il progetto ha coinvolto 4 classi della stessa scuola di cui 2 seguivano un programma di giochi cooperativi mentre gli altri facevano il programma normale. Nella prima fase (8 settimane)i bambini giocavano 2 volte alla settimana per 30 minuti circa con una docente universitaria, e nella seconda fase  (10 settimane) le Maestre proseguivano con il monte ore raddoppiato le attività di giochi cooperativi. Il progetto era accompagnato da un gruppo di studenti, osservatori esterni che avevano il compito di valutare i comportamenti sociali. Le conclusioni al termine del progetto erano eclatanti: i gruppi che hanno seguito il programma delle attività cooperative ha mostrato anche  nella vita quotidiana una maggiore cooperazione, dall’accoglienza dei nuovi arrivati, al mettere a posto, al condividere giocatoli ecc. La litigiosità nei gruppi di controllo era molto più elevata. Gli insegnanti di questa scuola hanno deciso di applicare per tutte le classi uno stile cooperativo visto i risultati.

 

Se è vero che una volta i bambini imparavano in modo naturale le regole sociali ed i giochi venivano tramandati dai più grandi ai più piccoli, oggi queste condizioni non esistono più o solo di rado, allora non si può pretendere che i bambini imparino a giocare insieme  se nessuno gliel’ha mai insegnato. E’ come se a 3 anni dovessero già leggere e scrivere ma nessuno si è mai preoccupato ad insegnarglielo.

 

Tornando al nostro esempio dell’Y: avendo solo una gamba, dovrebbe aver uguale diritto di aver piacere nel movimento, ma questo diritto gli viene negato nel momento che noi come educatori poniamo tutto in una chiave competitiva (l’espressione verbale “vediamo chi è il più bravo” o “chi ha vinto?” induce già alla competizione) Lo stesso vale per la creatività, supponendo che Y ha anche solo un braccio (metaforicamente parlando). Se nell’età evolutiva ,che corrisponde alla fase dell’esplorazione e della scoperta, vengono stabilite precocemente i canoni del bello e del brutto (che per il bambino corrispondono all’ essere amato o no,) rischiamo di scoraggiare lo sviluppo del potenziale creativo che sta in ogni individuo. Se il bambino impara fin da piccolo che quello che fa non va bene,   alla fine non si impegna più. E  ha ragione. Perché dovrebbe esplorare e sperimentare  se i risultati non sono apprezzati dall’adulto? 

 

Attraverso il gioco il bambino non impara solo di rapportarsi con gli altri ma soprattutto affina le sue competenze corporee, percettive e creative. Nel movimento (correre, arrampicarsi, strisciare, gattonare, prendere e lanciare) integra i suoi riflessi, impara ad orientarsi nello spazio, ad affinare la propriocezione (la reazione dei muscoli agli stimoli esterni). Il movimento gli permette di sviluppare la motricità grossa e fine necessaria per l’apprendimento scolastico.

Attraverso la percezione sensoriale si appropria di tutte quelle informazioni necessarie a costruirsi la conoscenza dell’ambiente circostante.

Attraverso la manipolazione (tagliare, incollare, montare, smontare, impastare, costruire, deformare…) egli acquisisce l’abilità manuale e la coordinazione occhio-mano e mente-mano necessaria per trasformare i progetti in realtà concrete, dando così alla sua fantasia una legittimità necessaria al suo sviluppo costante. 

 

Fonte: Sigrid Loos e Karim Metref, Quando la testa ritrova il corpo, giochi ed attività per la scuola dell’infanzia, EGA, Torino 2003

 




[1] Citato in: Carla Hannaford, Ph.D, “Awakening the  Child Heart, Handbook for Global Parenting” Jamilla  Nur, Publisging, Hawaii, 2002

[2] Penksapp Jaak: Affective Neuroscience. The Foundation of Hyman and Animal Emotions. Oxford University Press 1998

[3] Katz Lawrence C./Manning Rubin: Keep your brain alive, Workman Publishing, NY. USA 1999

[4] Singer Dorothy and Jerome: The House of Make Believe, Childrens Play and the developing imagination, Harward University Press, Cambridge USA citato in: C. Hannaford vedi nota 3

[5] C. Hannaford: vedi nota 3

[6] René Girard. Des choses cachées depuis la fondation du monde. Ed. Grasset. Paris. 1978

[7] Orlick T.: Winning through Cooperation, Akropolis Books Ltd, Washington, USA 1984

LUDO ERGO SUMultima modifica: 2009-06-16T14:25:00+02:00da ludotaro1969
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